Right in the night you'll findThat if you want to fall in love you'll fall in loveRight in the night Right in the night sweet thing is what you'll get When you fall in love, you fall in love Fall in love with music, fall in love with dance Fall in love with anything that makes you want romance Make a little softer on the way that you go Just think that everything you touch could turn to gold Fall in love with everything that you would love to love You know that laughter is a kind form to wake you up So don't make me feel unpleasant like you doYou know that everything will fall right back on youSo fall in love with everything, fall in love with life Forget about your troubles and be a little nice You will not see me if you don't want to look Just come and get me in my big big bed of loveBig big bed of loveRight in the nightRight in the nightRight in the night you'll findThat if you want to fall in love you'll fall in loveRight in the nightRight in the night sweet thing is what you'll getWhen you fall in love, you fall in loveSo fall in love with stories if fairy tales are trueInnocence is part of what you're losin' with your youthShow a little confidence, show a little classDon't kiss the past, the past ain't gonna lastJust fall in love with passion, fall in love with lustFall in love with all the things you're always dreaming ofFall in love with music and you will get byRight in the nightRight in the nightRight in the night you'll findThat if you want to fall in love you'll fall in loveRight in the nightRight in the night sweet thing is what you'll getWhen you fall in love, you'll fall in love ...

Credo ci sia qualcosa da qualche parte. Qualcosa di aspaziale, atemporale, senza volto, qualcosa di etereo, che sostiene i mondi e l'uomo, simile alla musica, all'arte e alla poesia. Il suo cibo dev'essere l'infinito, l'amore la sua aria, la vita il suo obiettivo; il bene lo sorregge eppure non è semplicemente un dio. Questa non è religione, forse questo è l'appagamento del desiderio di ritenermi un essere immortale, un appiglio per non cadere nell'ombra dell'eterno.




A Zeus70
" Questa è infine la solitudine: avvolgersi nella seta dell'anima, farsi crisalide e attendere la metamorfosi, che non può mancare. Si vive intanto delle proprie esperienze e telepaticamente si vive la vita altrui [...].Finalmente possiedi solo te stesso. I pensieri altrui non controllano più i tuoi; opinioni, capricci altrui non t'angustiano più. Ora l'anima comincia a maturarsi nella riconquistata libertà e provi un'immensa pace interiore, un piacere sereno, un senso di certezza e di responsabilità.Se rifletti sulla vita sociale che dovrebbe essere una specie di palestra, non puoi ora che giudicarla altro che una scuola di vizi. Se rechi in te un senso di bellezza, essere costretto a vedere bruttezza è una vera tortura, che ti spinge ingannevolmente a diventare un martire.Nella vita il compito principale dell’uomo è dare alla luce se stesso."
da (A. Strindberg, Solo)

Con affetto.


Il mediterraneo "Comincia là dove nascono i primi ulivi e finisce dove spuntano le palme nel deserto." Non ricordo più il nome del poeta che l'ha scritta. E' il destino dei poeti: le loro immagini rimangono, i loro nomi passano...C'è, in questa frase, la definizione di un mare che comprende la terra. Già col suo nome la chiama in causa, il Mediterraneo.Come se non potesse fare a meno di lei.O per offrirsi come luogo di incontro. Lo stesso vento striscia tra gli ulivi e fa rabbrividire le palme.Alza la sabbia del deserto e la deposita sulle nostre auto in sosta in vie dimenticate di città senza magia. E ci ricorda, così, di possibili misteri appena dietro l'angolo.Le stesse facce, facce di parenti, si guardano dalle due sponde, con la stessa malinconia o gli stessi sorrisi. E questo vento caldo assopisce gli stessi pensieri nelle teste dei popoli che conoscono la magia del sopirsi. Respirando l'odore del sale e del mirto. Lasciando che il tempo scorra tra i muri a secco e sulle case bianche. Lento mare per popoli lenti, là dove la lentezza tornerà a riscattarci.Ma mare difficile con le sue onde corte e ripide da bassi fondali, mare che richiede abilità al marinaio. Mare salato che mischia il blu col nero del lutto e il bianco dei villaggi.Stessi abiti neri per le donne di questo mare e stessi cibi con nomi diversi. Un sole da ombre nette che scioglie le note della stessa musica sulle diverse sponde. Con le cicale come effetto speciale.Perché sostenere il ritmo? Perché non lasciarsi andare a rallentare e vagare tra le note, ribellandosi alla dittatura della batteria e del basso? Mare di solisti.Terre che ancora una volta accoglieranno la nuova invasione dal Sud. Porta d'accesso ad un privilegio terreno che chi sta fuori reclama. Camera stagna, limbo, sala d'attesa. Nell'eterna incertezza se considerarsi al sud dell'Europa o al nord dell'Africa, saprà questo mare di terre meritarsi la sua fama?Piazza e non fossato, via da accesso e non sbarramento.E se fosse proprio questo mare il punto fermo da cui ricominciare?



Sam, a Charleston, odia gli ospizi per senzatetto ma vi entra e ne esce da cinque anni. Sam, 43 anni, ogni mattina va a caccia di un lavoro; ha un diploma in biologia ma chi potrebbe assumerlo è riluttante a farlo perché Sam è un alcolizzato e un depresso cronico, e ha il diabete. Nessuno dei sogni di Sam sembra mai avverarsi e lui non capisce perché. Brenda, a Los Angeles, è malata di mente, vive su una coperta e si protegge dalle intemperie con scatole di cartone. Si rifiuta di farsi curare ed è pressoché impossibile farle riempire anche il più semplice dei moduli. Riceve i tagliandi delle tessere annonarie, poi si lamenta che glieli hanno rubati. Non vuole far domanda per ottenere una camera in uno degli alberghi riservati ai senzatetto.Roger, a Minneapolis, è un pellerossa che sopravvive con madre, padre e una sorella minore grazie a un programma di assistenza nel Minnesota settentrionale. Roger non è arrivato alla scuola media superiore, alcol e stupefacenti ne hanno segnato l'adolescenza, e di recente gli è stato detto che è schizofrenico. Roger non riesce a conservare un lavoro fisso. Il suo maggior successo professionale: muratore part-time, 20 ore alla settimana. Gli sarebbe utile la patente di guida, ma non è ancora riuscito a ottenerla.Accanto alle storie di Sam, Brenda e Roger potrei un poesia di Hughes Langstone, una figura centrale di quel periodo di splendore culturale nero che fu Harlem Renaissance, negli anni Venti: "Sometimes a crumb falls/ From the tables of joy/ Sometimes a bone is flung/ To some people love is given/ To others/ Only heaven" (Qualche volta una briciola cade/ dalla tavola dei fortunati/ Qualche volta viene lanciato un osso/ Alcuni ricevono in sorte amore/ Altri solo il paradiso).La poesia si intitola "Luck", fortuna. E' una delle tante scelte da Neil Neches dell'Azienda trasporti per il suo programma "Poesia in movimento".Quando voi verrete a New York, sulle carrozze della Transit Authority "Luck" sarà stata sostituita.Ma non dimenticata. raccontare quelle spruzzate di speranza di Mr. J a Chicago e di Linda e dei suoi tre bambini a Louisville (le donne sembrano più coraggiose ed efficaci quando si tratta di tirarsi fuori dalla merda), ma non me la sento di essere obiettivo ed equilibrato su fame e miseria.Categoria senzatetto, circa sette milioni di americani. Le storie in nero superano abbondantemente quelle in rosa, in questo paese dove i ricchi diventano più ricchi, mentre i poveri si limitano a diventare più vecchi. Per un privilegiato come me è alto il rischio di far parte dell'esercito degli "I'm concerned, therefore I am" (Ci penso, dunque sono) descritti dal comico Eric Bogosian nel suo ultimo spettacolo "Piantando chiodi nel pavimento con la fronte". Do due monete di un quarto di dollaro a tutti quelli che me lo chiedono; il giorno di Thanksgiving vado alla Bowery Mission e consegno le monetine da uno, cinque, dieci cents che ho accumulato durante l'anno; mi indigno all'ondata di rigetto della media borghesia nei confronti degli homeless, alimentata dal profondamente reazionario "Wall Street Journal" e che cresce in rapporto diretto con l'aumento del loro numero; litigo con quelli che brontolano che-vadano-a-lavorare-o-vadano-in-galera-quei-barboni.Dei 5 mila e passa newyorkesi che vivono sotto i marciapiedi di Manhattan fino a profondità equivalenti a un palazzo di 18 piani, so soltanto quello; che ho letto nel bellissimo "The Mole People" (La gente talpa) di Jennifer Toth, ma seguo con attenzione quello che succede ai senzatetto di superficie, che a New York sono almeno 100 mila. Ho visto come gestisce i 3200 appartamenti che gli fanno capo il Department of Housing Preservation, e ho capito perché tanti poveri non vogliono nemmeno sentirne parlare. Sono passato al Sunshine Hotel dove Joseph Tartaglia ha accoltellato a morte Antonio Gonzales per derubarlo di un niente e ho assistito alla chiusura del Kenmore Hotel, un alveare per spacciatori e consumatori di crack soprannominato l'Albergo Inferno, a un tiro di sasso da dove abitavo.Mi si è rivoltato lo stomaco quando è cominciata la commercializzazione dei senzatetto con la "outsider art", che è andata ad aggiungersi alla "folk", "naive", "primitiva","autodidatta": dipingi e scolpisci, homeless, e passami una commissione del 50 per cento sul venduto. Spesso ho trovato dignità e senso dell'umorismo, nei miei contatti con i senzatetto. Perché le tracce del mito del vagabondo per scelta con il cielo che gli fa da soffitto blu stellato, l'ultimo hobo si è dissolto nel silenzio del suo treno merci.Mentre scrivo, nessun distributore, in Italia, ha ancora comprato l'unico film sugli homeless che valga la pena di vedere: "The Saint of Fort Washington", con Matt Dillon e Danny Glover.Nonostante la fama dei due attori, nella sala cinematografica eravamo in tre, un sabato pomeriggio. I poveri sono invisibili, dunque improponibili.Se però capitate a New York, fate come ho fatto io dopo aver visto il film. Andate al Manhattan Bridge, al confine di Chinatown, dove Matthew e Jerry pulivano i parabrezza e dove fino a pochi mesi fa c'era la più grande baraccopoli di Manhattan; bevete una birra nell'oscurità un po' unta di Blarney Stone Bar & Restaurant, a due passi dal Madison Square Garden e dalla Penn Station, su 8th Avenue tra 31st e 30th Street; da Penn Station prendete l'autobus M4 e scendete in Fort Washington Avenue, all'altezza della 170th Street, e date uno sguardo alla Fort Washington Armory, un ex deposito di armi e munizioni trasformato prima in palestra e poi in gigantesco ricovero per gli homeless dove su brande disposte in file infinite ogni notte 700 uomini (che diventano 1200 quando fa molto freddo) dormono, si derubano, si accoltellano, si uccidono.Poi, in tassì ad attraversare il Bronx, Pelham Bay Park, fino a City Island dove prenderete il traghetto per Hart Island. Qui si trova il cimitero dei poverissimi, qui vengono sotterrati i corpi che nessuno reclama. Oltre 2mila all'anno, in buche che possono contenere fino a 150 casse di pino, scavate dai galeotti di Rikers Island. Da Manhattan Bridge a Hart Island, immagini e storie che non appaiono sulle riviste di viaggio patinate dove New York è tutta scintillante, di charme e soprattutto bianca. Dopo il mio viaggio, sulla linea 3 del metrò ho letto le 8 righe di un poesia di Hughes Langstone, una figura centrale di quel periodo di splendore culturale nero che fu Harlem Renaissance, negli anni Venti: "Sometimes a crumb falls/ From the tables of joy/ Sometimes a bone is flung/ To some people love is given/ To others/ Only heaven" (Qualche volta una briciola cade/ dalla tavola dei fortunati/ Qualche volta viene lanciato un osso/ Alcuni ricevono in sorte amore/ Altri solo il paradiso).La poesia si intitola "Luck", fortuna. E' una delle tante scelte da Neil Neches dell'Azienda trasporti per il suo programma "Poesia in movimento".Quando voi verrete a New York, sulle carrozze della Transit Authority "Luck" sarà stata sostituita.Ma non dimenticata.